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L’antifascismo moderno rappresenta una nuova religione civile che per fini del tutto strumentali tiene in vita un’ideologia
e un periodo storico esauriti e archiviati. La pretesa per cui ognuno debba definirsi antifascista non ha niente a che fare con l’avversione al regime che governò l’Italia per un Ventennio ma rappresenta una trappola ideologica attraverso cui ingabbiare l’avversario e allo stesso tempo creare un enorme business.
Lo scenario politico attuale ricco di sfide epocali è invece paradossalmente inquinato da un dibattito su un tema artefatto.
Oggi il fascismo è morto ma l’antifascismo si è trasformato in strumento per delegittimare tutti i soggetti politici e intellettuali che non si riconoscono nel progressismo. Così facendo, l’antifascismo stesso finisce per utilizzare metodi illiberali e repressivi che imputa al fascismo.
Il rischio è ciò possa ricreare un clima di scontro violento e di limitare gli spazi di confronto favorendo l’affermazione di un conformismo di massa.
L’antifascismo, più che una tendenza politica, rappresenta una nuova religione civile che per fini del tutto strumentali tiene in vita un periodo storico esaurito e archiviato. Come ogni religione, anche l’antifascismo si fonda su dogmi indiscutibili. In primo luogo l’ossessione relativa al pericolo del ritorno di un fascismo che non sarebbe mai veramente morto e anzi pronto a risorgere, incarnato di volta in volta da diverse personalità politiche e intellettuali ritenute un ostacolo. Il secondo dogma su cui si fonda l’antifascismo riguarda la distinzione manichea del mondo tra fascisti e antifascisti, con la relativa disumanizzazione dei primi, considerati un costante pericolo su cui dover vigilare.